Introduction: Marco Rossi
opening 24.03.2023
Superstudiolo Arte Contemporanea
ONLINE EXHIBITION
Nelle opere di Marco Rossi, ci troviamo davanti a dei memento mori appuntati su carta, che si presenta: fragile, sismica, filigranata, foderata, intelata; molto simile a livello cromatico alla pelle umana: consunta, vissuta, anche un po’ ammalata, forse appannata, livida. In Rossi troviamo piani di narrazione cinematografica, tutto sembra appartenere a uno scorrere liquido e mutevole, come una condensazione freudiana, come un sogno; assistiamo a una sinossi filmica delirante. È la fotografia di un film? O un film su una fotografia? E’ il disfacimento dell’immagine che si fa pittura: illustrata, disegnata, abbozzata, liquida, scarabocchiata. La tecnica prevalente utilizzata è mista, ma il disegno rimane una costante, che spesso, infatti, si coagula a qualcos’altro, come il collage, o subisce la mutazione necessaria in pittura. Si tratta comunque di un segno logoro e logorroico, ossessivo, ripetitivo nel suo essere sintesi di un disagio, e “montato scenicamente” nel caos cosmogonico dell’artista. Come in un film di Christopher Nolan, per citare “Memento” l’artista appunta sul suo sketchbook delle visioni per ricordarsi, ricordarci? O dimenticare qualcosa. “Ricordati che devi morire” altrimenti detta in maniera più tragicomica, quasi grottesca come nella celebre pellicola di Massimo Troisi “Non ci resta che piangere”. La figura umana è centrale e protagonista nella ricerca dell’artista, che però non viene restituita in maniera chiusa, canonica o definita. La figura in Rossi è un muta forma deforme e difforme, forse un’ombra noir orririfica, forse un demone, come suggerito in qualche titolo di opera. Un’incisione eterea con l’ inquietudine simbolica di William Blake, l’esoterismo di Albrecht Durer, e la vitalità erotica di Jean-Michel Basquiat. Le figure di Rossi ricordano anche quelle dell’artista bolognese prematuramente scomparso Piero Manai, che sono letteralmente “viste da dentro”: “E’ un lavoro interno” – scriveva lo stesso Manai – “E’ una costruzione anatomica e psichica, è dipingere una figura, scorticarla tre volte, metterla a dura prova per raggiungere una soglia”. In Rossi si tratta di rendere la solitudine una consapevolezza, insieme alla vanità dell’esistenza, che rimane di passaggio, tra le pagine di un “diario filosofico” dove perdere il segno, nello smog dell’accumulazione seriale capitalista, è un quasi un guilty pleasure dal sapore grottesco. Il dramma umano diventa un’illustrazione distorta, graffiante, sulla quale è complesso sintonizzarsi, la gestualità di Rossi è una frequenza FM irrisolta, stridente, acida come le sonorità caotiche di Aphex Twin. Un esistenzialismo ibrido tra Sartre e Bukowski, tra nausea e alcol, che puoi quasi sentire, ascoltare, leggere, nel tratto liquido del segno pittorico.
(Federica Fiumelli)





Intervista a Marco Rossi
a cura di Alberto Ceresoli e Carmela Cosco
Alberto Ceresoli | Carmela Cosco Che cosa cerchi nella pittura e che discorso sostiene il tuo fare pittorico?
Marco Rossi Non cerco niente di preciso, è un bisogno primario, uno scavo interiore , un antidoto alla noia e al dolore, una ricerca continua fatta di fallimenti verso qualcosa che non so.
AC|CC/ Processi, tempi, impegno o disimpegno nel lavoro. Raccontaci del tuo approccio alla pittura. Come si articola il processo di formalizzazione dell’opera? Come vivi il tuo studio? Rigore o elasticità progettuale?
MR/ Il mio è un procedimento mentale che prima di coagularsi in pittura o video ha un processo mediamente lungo; la mia mente organizza idee, le rielabora, si porta vicino alla quotidianità, assorbe stimoli e poi in tutto questo confluisce. In studio ci passo tutti i giorni o quasi, anche solo per 5 minuti. A volte non tocco niente ma una visita la faccio comunque, per senso di colpa o per abitudine.




AC|CC Ci interessa il tuo rapporto con la materia pittorica, con supporti e materiali. Scelte e affezioni?
MR/ Il mio lavoro sicuramente è strettamente legato al segno e al disegno e di conseguenza alla carta. La tela la uso principalmente per foderare i miei lavori e dare ai lavori una certa “fisicità”. Lavoro molto e in serie, ma non ho una materia pittorica che prediligo; uso indistintamente olio, tempera , matita, pennarelli, cera, resine… mi interessa molto l’aspetto installativo dei miei lavori che ha una funzione importante tanto quanto il “pezzo” in se.
AC|CC Astrazione o figurazione?
MR/ Il punto di partenza è sicuramente la figura, ma essa non è l’asse centrale della mia ricerca, è un punto di partenza, un pretesto per creare un’idea di movimento e di tensione all’interno della superficie del disegno o della materia pittorica.
AC|CC/ Ti chiediamo un pensiero iconografico rispetto alla tua produzione pittorica. Riferimenti e influenze?
MR/ Il mio artista preferito di tutti i tempi è El Greco, ma gioca in un altro campionato. Tra gli umani sicuramente ho attinto dalla produzione grafica di Barcelò, dalle carte di Kiki Smith, Basquiat agli inizi, Kiefer, Bourgeois… ma un pò tutto… i fumetti… la fotografia di un film… poi ormai internet ha rimescolato tutto, alto e basso.




Marco Rossi (Treviglio, 1987) vive e lavora a Treviglio.
Si diploma in pittura presso l’Accademia di Brera nel 2013. Partecipa negli anni a diverse collettive, personali e premi tra cui il Premio Fabbri, Arteamcup 2015, Combat Prize, Premio Città di Treviglio.
