Introduction: Aronne Pleuteri

Introduction: Aronne Pleuteri

21.01 – 11.02 2022
Superstudiolo Arte Contemporanea
ONLINE EXHIBITION

Nell’immaginario collettivo gli orologi sciolti e surrealisti di Salvador Dalì, dal titolo “La persistenza della memoria” riecheggiano come un faro luminoso e sono diventati un autentico simbolo di uno dei molteplici modi in cui l’arte possa intendere la realtà e viceversa. Quello che ci serve è la giusta allucinazione per destarci dal torpore atrofizzante quotidiano. E il tempo non che è una sbavatura dello sguardo, e dell’interpretazione che diamo alle cose, nel suo scorrere così tiranno e incomprensibile. Se il tempo perisce, esanime e molle, soltanto la memoria e la riflessione possono continuare a farci fluttuare. Sono passati ormai più lustri, da quando il compianto Zigmunt Bauman ci ha fornito un’immagine quantomai dispotica e fedele della società in cui siamo immersi, ovvero di una liquidità espansa, che ci conduce ad un’unica grande verità: l’incertezza e l’instabilità sono le uniche condizioni certe nelle quali viviamo. Il cambiamento è il solo vero olio motore dell’essere umano. Distorsione, immersione, fluidità, allucinazione, ironia, antropologia sono tratti peculiari che ritroviamo nella pittura scanzonata e liquida del giovane artista Aronne Pleuteri. Non a caso, la formazione di quest’ultimo interessa un ampio raggio d’azione: dalla musica, alla passione per i fumetti e i cartoni animati, ai videogiochi. Ad una prima definizione, già abile e amabile, della sua poetica come “cupismo”, mi sento di aggiungere i termini “post” e “liquido”, quest’ultimo nella declinazione più “Baumaniana” possibile. Possiamo allora parlare di “post cupismo liquido”. Post, in quanto l’artista nell’attuale produzione artistica prende le distanze da una prima fase “cupista”, e la osserva con ironia – con un distacco necessario per evolvere e comprendere la propria evoluzione poetica. I soggetti protagonisti della pittura di Pleuteri sono essere umani tellurici, disciolti, vibranti, immersi – e infranti – come piccoli pezzi di un Narciso riflesso. Le tante immagini fornite dall’artista fanno parte di un retaggio collettivo, onirico, acido, surreale, a tratti psichedelico – performante e deformante. E’ surrealismo 3.0, metafisica un po’ nerd, quasi anni novanta – dove vige un’unica regola: il gioco. Un po’ Squid Game? Forse. La pittura di Pleuteri annega i confini, li spezza e li spazza via, con un giro di basso elettrico da far aggrovigliare le budella – un po’ creepy, cinico e irrisolto – naviga a pelo d’acqua ragia tra la figurazione e l’astrazione. Perché sì – ci troviamo di fronte a immagini sul punto di un collasso nervoso – una grande isteria segnica, curvilinea, che abbraccia l’inquietudine e l’inadeguatezza, l’assurdo e il grottesco. Perché siamo tutti immersi fino al collo in una società isterica ma immaginifica, imponente – attraverso la quale spiare dalla serratura il prossimo cambio di canale. Una società dello spettacolo spettacolare, per citare Guy Debord, alla deriva, ma incredibilmente magica, per questi suoi continui mostrarsi in maniera mostruosa. Il gioco inteso da Pleuteri è una metafora splendida delle contraddizioni che costellano assiduamente le più svariate azioni umane: dalla guerra ai reality – il confine è sempre molto labile, molto molle, molto umido e bagnato. E proprio per questo eccitante. Una pittura che invita a essere toccata, quasi palpata, modellata – in divenire – ad ogni sguardo le forme sembrano sempre sul punto di essere riformate. Come plastilina. Mai definitive. Come in un sogno, non riusciamo a mettere a fuoco, il segnale è disturbato e disturbante. La pittura diviene display di piccoli frammenti dell’io, costellati nella galassia dell’immaginario collettivo. Che si tratti di un ratto su DMAX, di offerte pubblicitarie di bare economiche, o di una gita in Louisiana – Pleuteri celebra il disfacimento della carne – i soggetti ritratti, ci vengono donati a piccoli pezzi, come una visione da serial killer, l’artista smembra, sceglie e isola con cura porzioni umane, esili gambe o lunghi piedi, fronti alte come grattacieli – un abbecedario visivo di personaggi fantastici – e dove non trovarli. I personaggi di questo gioco sono tanti piccoli autoritratti di un Narciso infranto – l’artista, che per ritrovarsi si aggrappa all’atto pittorico, quasi masturbatorio, non consolatorio quanto catartico. Un universo ludico dove l’esperire esula da ogni fine, nella pittura di Pleuteri si gioca per riflettere, non vincere – si dipinge per la stessa forza dirompente che anima la pittura: la fuga – come possibilità per rimanere sospesi in apnea, in un mondo governato da scopi continui ed estenuanti. 

(Federica Fiumelli)

Resuscito mia nonna col piffero strasversale, olio su tela, 100x80 cm, 2021
Resuscito mia nonna col piffero strasversale, olio su tela, 100x80 cm, 2021

Intervista a Aronne Pleuteri
a cura di Alberto Ceresoli e Carmela Cosco 

AC|CC Che cosa cerchi nella pittura e che discorso sostiene il tuo fare pittorico?

Aronne Pleuteri La mia pittura è l’urgenza di un’immagine. Tramite la pittura cerco di fissare o di focalizzare delle immagini che mi riguardano. Immagini attive, curative, che a volte scoprono lati di me stesso. I miei quadri sono la trasposizione del mio immaginario, che è inevitabilmente e soprattutto collettivo, o comunque modellato dal mio tempo. E’ per questo che nonostante il mio approccio alla pittura di totale centroversione riesco comunque a fare risuonare qualcosa negli altri. Anzi forse è proprio l’arte che nella sua risonanza collettiva può diventare lo strumento principe per abbattere l’abisso dell’incomunicabilità e per capire forse l’altro. La mia pittura è un invito al gioco. Un esercizio d’immaginazione. Chiede di dimenticarsi di questo mondo e di entrare nell’altro, quello della pittura. Chiede di dimenticarsi della materia e di usare i suoi occhi e percepire. Più che finestre però i miei quadri sono porte, perché poi devi anche entrare. E poi i miei quadri sono delle storie. Nonostante siano statici, sta per succedere qualcosa o qualcosa è già successo. C’è qualcosa in movimento. Ci sono dei personaggi, degli stati emotivi, dei luoghi simbolo. Anche sotto questo punto di vista cerco un appiglio nel collettivo. Cerco delle proto-narrazioni, degli archetipi. Una struttura.

AC|CC Processi, tempi, impegno o disimpegno nel lavoro. Raccontaci del tuo approccio alla pittura. Come si articola il processo di formalizzazione dell’opera? Come vivi il tuo studio? Rigore o elasticità progettuale?

AP Come dico sempre a Manuel, inizio a dipingere quando ho una immagine che mi impelle… quando c’è qualcosa che ribolle. Quindi la prima cosa che faccio è aspettare. Poi vado in studio, che è sempre un’impresa eroica o una crociata perché è distante da casa mia e ci vuole molta determinazione, e inizio a dipingere. Generalmente non rimango soddisfatto delle prime cose che faccio, anzi, le rinnego, e allora lascio fermentare l’immagine per un po’ per poi tornarci sopra. Continuo quello che mi suggeriscono le forme (anche se a dire il vero è più una questione di colori), e a quel punto il quadro si completa da solo velocemente. Non so come ma alla fine esce sempre un’immagine che mi riguarda. Con il tempo si stanno delineando dei criteri formali che mi rendono digeribile l’immagine. Alcuni di questi sono: la presenza immancabile del corpo o della carne, lo zoom sul soggetto che non deve essere né troppo ravvicinato né troppo distante, non inquadrare il volto, l’avere zone a diversa intensità visiva e materica diluendo con tanta o poca acqua ragia, se ci sono delle gambe devono essere molto magre, il cielo ha le nuvole, l’erba è verticale, delle linee nere a caso… Alla fine è un codice. Questo è un processo che non posso industrializzare perché non ne potrei sostenere i risvolti etici e non troverei piacere a dipingere. E’ lo stesso motivo per cui non produco in serie e per cui vedo ogni mio nuovo quadro molto diverso dal precedente. Tra rigore e elasticità progettuale invece non saprei cosa scegliere perché il rigore quando si è agli inizi non ha senso e progettare non ha mai senso. Progettare se hai già qualcosa da dire non serve, in special modo se vuoi fare pittura che è un processo in divenire. Piuttosto parlerei di anarchia progettuale o di fluido eracliteo

Extreme Rat Hunter, olio su tela, 80x70 cm, 2021
Extreme Rat Hunter, olio su tela, 80x70 cm, 2021
Personaggio irruento calpesta le verdure dell'orto, olio su tela, 80x80 cm, 2021
Personaggio irruento calpesta le verdure dell'orto, olio su tela, 80x80 cm, 2021

AC|CC  Ci interessa il tuo rapporto con la materia pittorica. Ci interessa il tuo rapporto con supporti e materiali. Scelte e affezioni?

AP Non c’è neanche un rapporto, o se c’è un rapporto comunque la “materia pittorica” mi sta antipatica. Infatti devo sempre specificare che non amo la pittura e che non mi interessa. E se mi chiedono cosa mi interessa allora devo rispondere: “quello che viene prima”. Ma tornando alla materia: non è mai quello che vorresti che sia. Le si è sempre in subordinazione. Però se sei capace puoi accettare l’imprevisto e rimanerne meravigliato o imparare da esso, come fa Kvas. Comunque nell’uso dei classici strumenti tela-cavalletto-olio cerco una dimensione che venga inequivocabilmente riconosciuta come pittura. Mi interessa più lo stereotipo della pittura che la pittura, la caricatura dell’oggetto quadro più che il quadro. Infatti amo i telai che sono spessissimi, sui quali ovviamente non si deve dipingere il lato, e ai quali se avessi i soldi fornirei vistose cornici barocche. Non cerco violenze o forzature del linguaggio pittura. Non voglio farle superare i suoi limiti, anche perchè non potrebbe o non si chiamerebbe più pittura… insomma, non voglio sfondare il quadro con un taglierino: mi piace che la realtà stia lì dov’è e che tutto sommato, se ci credo abbastanza, quello che dipingo sia qualcosa di diverso, un mondo a parte, un altro spazio-tempo. Mi interessa però creare anche un oggetto bello, composto. A me in questo senso piace parlare di PINTURA con la N. Se si vuole pinturare la prima scelta da fare, la più drastica, è quella del pennello. La pittura la fa tutta il pennello. Al mio ci sono molto affezionato, è partito lindo e pettinato ma con il tempo è diventato sempre più grezzo e a punta. Adesso l’ho dovuto cambiare ma quello nuovo me l’ha regalato mio cugino Flavio e mi sto già affezionando, fa dei segni molto belli. A proposito di pennellate, io credo che le mie pennellate abbiano anche una valenza metafisica. Mi spiego: sulla tela metto in gioco due forze opposte che lottano, si avviluppano e si contorcono tra loro. Spesso questo groviglio è la carne. Ma comunque fa tutto il pennello. Le tele invece non servono a niente, non ci capisco niente e vanno bene quelle che si comprano al BRICO o da Tiger.

“Mi interessa più lo stereotipo della pittura che la pittura, la caricatura dell’oggetto quadro più che il quadro. Infatti amo i telai che sono spessissimi, sui quali ovviamente non si deve dipingere il lato, e ai quali se avessi i soldi fornirei vistose cornici barocche. Non cerco violenze o forzature del linguaggio pittura. Non voglio farle superare i suoi limiti, anche perchè non potrebbe o non si chiamerebbe più pittura… insomma, non voglio sfondare il quadro con un taglierino.”

Drippin 'in Milano, olio su tela, 60x80 cm, 2021
Drippin 'in Milano, olio su tela, 60x80 cm, 2021
Offerta bare economiche, olio su tela, 30x40 cm, 2021
Offerta bare economiche, olio su tela, 30x40 cm, 2021
Il cappello di Mago Merlino, olio su tela, 30x40 cm, 2021
Il cappello di Mago Merlino, olio su tela, 30x40 cm, 2021

AC|CC Astrazione o figurazione?  

AP Io sono per la sintesi, ma la sintesi è utopia. Comunque oltre a qualche linea pensata che significa direttamente qualcosa, per quanto mi riguarda, lascio anche segni a vanvera col pennello che forse rappresentano qualche cosa o forse no. Forse è solo per caso che tutte quelle forme assieme ricordino qualcosa. Un marinaio, delle gambe, o dei corpi in generale. Ma se dobbiamo parlare di categorie della pittura, che sono troppo poche, per la distanza con cui mi pongo rispetto alla pittura, allora mi definirei un figlio di De Chirico, un meta-pittore.

La fronte, olio su tela, 100x80 cm, 2021
La fronte, olio su tela, 100x80 cm, 2021

AC|CC Ti chiediamo un pensiero iconografico rispetto alla tua produzione pittorica. Riferimenti e influenze?

AP Mi piace che abbiate usato il termine “pensiero iconografico”. Molto giusto. Naturalmente ciò che mi ha segnato di più è stato durante l’infanzia, cioè il Grinch, di cui ero terrorizzato, e le valanghe di cartoni animati che guardavo (e che tuttora guardo), per esempio i primi corti animati della Disney. Avevo anche dei fumetti, che più che leggere guardavo. Poi ho passato un sacco di tempo nei meandri di internet e ho assorbito un sacco di immagini contorte. In generale mi rifaccio alle nuove iconografie, appunto, della cultura pop. Che credo nascondano qualcosa e che le loro radici siano profonde. Nell’ambito stretto della pittura ovviamente Philip Guston, che è un maestro per me, Giorgio Morandi, grandissimo, George Baselitz, Rosario Pedone, Monet, Soutine, Giulio Romano, Rosso Fiorentino ecc…

“Io sono per la sintesi, ma la sintesi è utopia. Comunque oltre a qualche linea pensata che significa direttamente qualcosa, per quanto mi riguarda, lascio anche segni a vanvera col pennello che forse rappresentano qualche cosa o forse no. Forse è solo per caso che tutte quelle forme assieme ricordino qualcosa. “

Titano sconfigge la morte per sbaglio, olio su tela, 80x60 cm, 2021
Titano sconfigge la morte per sbaglio, olio su tela, 80x60 cm, 2021
Sailor, acrilico su tela, 100x80 cm, 2021
Sailor, acrilico su tela, 100x80 cm, 2021

Aronne Pleuteri (Erba, 2001) vive e lavora a Milano.

Inizia l’asilo un anno in anticipo e disegna sui muri o crea fumetti con l’aiuto del nonno. Alle elementari è un VIP e crea svariati club di disegno. Inizia svogliatamente a frequentare l’Accademia di Brera e ad oggi è al terzo anno. A Marzo 2021 si sposta a Milano per condividere uno studio con Andrea Contin, Andrea Kvas e Manuel Esposito. Nel 2021 partecipa al Degree Show a Palazzo Monti di Brescia a cura di Edoardo Monti, Rossella Farinotti, Ettore Favini, Erin Kim, Anne Claire-Morel and Chiara Casarin; WalkinStudio Spazi festival, “Sesso, sventro, carità” con Andrea Contin, Luca Francesconi, Marta Pierobon, Andrea Kvas e Manuel Esposito; WalkinStudio Spazi Festival,“pot-pourri”, Spazio Marea, Milan; The Wrong Biennale, “rifintg” pavilion, a cura si Federico Poni e Federica Mira. Nel 2020 partecipa al progetto “the only limit is the sky (256 blocks)”: pubblicazione “the coloring book” by Milano Art Guide a cura di Rossella Farinotti; partecipa all’online performance exhibition “corpi sul palco” a cura di Andrea Contin, Modern and Contemporary Art Museum of Rijeka; partecipa alla collettiva Mistici, Sensuali, Contemplativi”, Metodo Milano a cura di Nicola Nitido; è tra i finalisti del Combat Prize e partecipa a ReA Art Fair. Nel 2019 la personale “Manifesto del Cupismo”, Museo Vignoli in Seregno (MB).

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